A Propulsione antinucleare...

 

Quindici anni di lotte ecopacifista di VAS per la sicurezza

dei cittadini e la denuclearizzazione del Golfo di Napoli

 

ERMETE FERRARO (*)

 

 

1. Un po’ di storia

 

La battaglia dei VAS per liberare il golfo e la città di Napoli dal pericolo nucleare iniziò addirittura quando il circolo napoletano dell’Associazione non era ancora nato. Già nel maggio del 1996, infatti, i responsabili regionale e cittadino dell’associazione “Verdarcobaleno” (D’Acunto e Ferraro, che in seguito costituirono VAS Napoli ed il Coordinamento campano) avevano lanciato l’allarme sul grave rischio per la sicurezza e la salute della popolazione civile, derivante dalla presenza di sottomarini nucleari nella base NATO (COMSUBSOUTH) collocata nell’isolotto di Nisida, di fronte a Bagnoli. [1]

In realtà la battaglia per la smilitarizzazione e denuclearizzazione del territorio e del mare di Napoli era iniziata molto prima, agli inizi degli anni ’70, con la mobilitazione del movimento pacifista napoletano, riunito intorno ad Antonino Drago [2], allora docente di storia della fisica alla “Federico II” e leader delle lotte degli obiettori di coscienza antimilitaristi per una difesa civile, sociale e nonviolenta.[3]  E’ da lì che in buona parte deriva, confluendo nell’azione di VAS in Campania, lo spirito ecopacifista che l’ha contraddistinta, arricchendo l’ecologia sociale, da sempre suo elemento costitutivo, con l’impegno per la difesa del territorio e dei suoi abitanti dalla minaccia nucleare.

Risale al 2001 la prima presa di posizione ufficiale dei VAS napoletani contro l’ingombrante e pericolosa presenza della portaerei nucleare USA “Enterprise” nel porto di Napoli, ripresa dai media locali [4]. Le proteste pubbliche contro l’indifferenza del Presidente della Regione Campania e del Sindaco di Napoli – responsabili della protezione del territorio e della salute dei cittadini – si sono susseguite negli anni successivi, ma tutti gli appelli dei VAS alle autorità competenti sono stati regolarmente disattesi ed anche i media non hanno sempre pubblicizzato la loro denuncia.

Solo tre anni dopo, nel 2004, fu ancora una volta solo un quotidiano di destra a riportare le motivate proteste degli ecopacifisti napoletani contro la minacciosa presenza di fronte al Maschio Angioino di ben due portaerei americane (la “Enterprise” a febbraio e la “Truman” a luglio). [5] .

Già dal 2001, del resto, il coordinamento dei circoli campani di VAS aveva promosso l’originale iniziativa denominata “Festa della Biodiversità” (che si è svolta a Napoli per quattro anni), ribadendo anche in quella sede che la cultura della biodiversità, naturale o culturale che sia, passa comunque per un modello di sviluppo alternativo, rispettoso della natura ma anche equo, solidale e pacifico. Ed è proprio in tale ambito che il supplemento speciale alla rivista “Verde Ambiente” del 2004 pubblicò, tra gli altri, l’articolo di Ferraro “Quale ecopacifismo?” [6]  In questo saggio, infatti, era chiarito perché questo termine non può essere ridotto ad una semplice somma di due grandi idealità, ma deve piuttosto proporsi come una sintesi organica, da cui scaturisca un modello di sviluppo alternativo, che rifiuta la violenza ed il dominio come propri elementi costitutivi.

Negli anni successivi l’intervento di VAS Campania ha affiancato quello di altre organizzazioni - come la sezione napoletana di “Pax Christi” [7] e soprattutto il “Comitato Pace Disarmo della Campania” [8] – nella lotta contro la militarizzazione del territorio regionale e cittadino e per fare del Mediterraneo un mare di pace.[9]

Dal 2007 ad oggi si sono susseguite le prese di posizione degli ecopacifisti di VAS contro l’ampliamento del Quartier Generale delle forze aeronavali della US Navy a Capodichino (Napoli) e contro la collocazione, ancora una volta a Napoli, del nuovo comando militare USA relativo all’intero continente africano (AFRICOM).  Nel febbraio del 2009, infine, VAS ha lanciato ancora una volta un allarme sul rischio nucleare, in relazione allo scontro di due sommergibili nell’Atlantico, riproponendo pubblicamente la denuclearizzazione del porto di Napoli. [10]

Nell’aderire al Coordinamento Campano per il No al Nucleare (C.C.N.N.), infine, VAS ha chiarito ancora una volta lo stretto legame che intercorre tra il c.d. “nucleare civile” e quello militare, facendo esplicito riferimento anche all’emergenza nucleare relativa alla presenza di natanti a propulsione atomica nel golfo di Napoli. [11]

L’ultimo atto dell’azione di VAS su questo terreno (7 dicembre 2010) è la nostra richiesta ufficiale al Prefetto di Napoli, finalizzata ad avere accesso al “Piano Provinciale di emergenza esterna dell’Area Portuale”, nell’eventualità d’incidenti a natanti a propulsione nucleare, transitanti o alla fonda nella baia di Napoli. L’istanza, a firma di Guido Pollice - Presidente Nazionale di VAS – fa seguito ad un’analoga richiesta del Comitato Pace, Disarmo e Smilitarizzazione – Campania, cui VAS aderisce a livello regionale, e ne ribadisce la legittimità, trattandosi di atti concernenti la sicurezza dei cittadini e la tutela dell’ambiente. Ancora una volta, infatti, VAS insiste sulla necessità di trasparenza sui piani di emergenza elaborati e sulla loro effettiva incidenza ed efficacia.[12]

Prevedibilmente, la risposta della Prefettura di Napoli, dopo 15 giorni, è stata evasiva e scontata: il richiedente deve indicare di quali parti del piano provinciale vorrebbe copia, tenendo ovviamente conto che parte del documento è stato “classificato” come soggetto al segreto militare.

La replica di VAS sarà netta, affinché sia chiaro che la nostra associazione e le altre organizzazione della rete pacifista non si fermeranno finché la popolazione napoletana non avrà ricevuto – come peraltro le spetta per legge - un’informazione reale, completa ed esplicita sui rischi previsti e sulle misure di protezione civile predisposte per fronteggiarle.

 

 

2. Il pericolo nucleare sopra e sotto il “mare nostrum”

 

Negli ultimi anni la presenza dei natanti a propulsione nucleare nel golfo di Napoli è diventata un po’ più discreta. Chi non è giovanissimo ricorda però che l’arrivo di una gigantesca portaerei statunitense nel porto è stata spesso accolta come un grande evento, quasi come un’esibizione da visitare. Migliaia di persone, fra cui studenti, facevano allora pazientemente la coda per visitare, stupiti, quelle centrali atomiche galleggianti, con i loro bei bombardieri allineati sopra... Eppure si tratta di una formidabile fabbrica di morte e, soprattutto, di una fonte di gravissimo rischio per la sicurezza e la salute di chi abita in quella città, che dal dopoguerra non si è mai liberata dall’ingombrante “protezione” degli ex-alleati, che continuano ad “occuparne” da 65 anni il territorio ed il mare. Fra l’altro, come ricorda Alessandro Marescotti, responsabile di Peacelink:

“I propulsori nucleari sono sottoposti al decreto legislativo 230/95 [13] relativo ai reattori nucleari in genere; tale normativa (che comporta un obbligo di informazione alle popolazioni e la definizione di un piano di emergenza nucleare) si applica quindi ad esempio a tutti i sottomarini statunitensi i quali sono tutti a propulsione nucleare; per le armi nucleari invece non vi è alcuna normativa che salvaguardi la popolazione e anzi le autorità militari Usa hanno l'ordine di non confermare e non smentire la presenza a bordo di tali armi...” [14]

Il paradosso di un Paese che ha finora bandito, con un referendum democratico, il c.d. “nucleare civile” ma è costretto, suo malgrado, a convivere con armamenti e natanti nucleari è un evidente prova della follia militarista, di fronte alla quale ogni garanzia di trasparenza democratica risulta inesorabilmente cancellata.

 

 Ancora più paradossale è che:

“... negli Stati Uniti, per ragioni di sicurezza, le unità militari a propulsione nucleare non sostano e non attraccano nei porti commerciali. E sempre per ragioni di sicurezza le navi commerciali non hanno propulsori nucleari a bordo. Un incidente nucleare può provocare la fuoriuscita di plutonio la cui radioattività perdura per millenni (si dimezza solo dopo 24 mila anni) provocando il cancro (il chimico Enzo Tiezzi ha scritto: “Un chilo di plutonio disperso nell’ambiente rappresenta il potenziale per 18 miliardi di cancro al polmone" ) [15]

Eppure a noi italiani, ed in particolare agli abitanti delle città di una dozzina di porti (Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellammare di Stabia, Gaeta, La Maddalena, La Spezia, Livorno, Napoli, Taranto, Trieste, Venezia) tocca da decenni l’onere di ospitare questi scomodi visitatori, col rischio di trasformare quello che era detto Mare Nostrum in un potenziale “Mare Monstrum”.

Esagerazioni? Allarmismi dei soliti antimilitaristi ? Purtroppo la realtà è più grave di quanto la si possa dipingere, visto che sappiamo bene cosa possiamo aspettarci dalla Protezione Civile in Italia, soprattutto se a mettere i bastoni fra le ruote della sua già discutibile organizzazione territoriale ci sono le forze armate e le secretazioni militari.

Ma di che cosa stiamo parlando, quando lamentiamo l’insicurezza dei porti italiani?

“ Per sicurezza intendiamo l'applicazione di tutti quei sistemi tecnologici in grado di prevenire o rimediare ai possibili problemi che possono insorgere durante il funzionamento del reattore nucleare e che possono provocare gravi ripercussioni sulle persone e sull'ambiente. In campo civile esistono numerosi sistemi di sicurezza e di emergenza obbligatori, però su un sottomarino tutto questo non è fisicamente possibile, per ragioni di spazio e di funzionalità. Di conseguenza ci ritroviamo col paradosso che reattori nucleari che non otterrebbero la licenza in nessuno dei paesi che utilizzano l'energia atomica, circolano invece liberamente nei mari. Inoltre questi sottomarini affrontano condizioni operative pericolose per via del loro impiego militare anche in tempo di pace (esercitazioni, pattugliamento ecc. ) che possono comportare altri incidenti (esplosione di siluri, collisioni, urti col fondale) dalle conseguenze catastrofiche per l'impianto nucleare a bordo.” [16]

Fantascienza da esaltati antinuclearisti? Non di certo, visto che correva l’anno 1968 quando si verificò il primo incidente del genere e, guarda caso, proprio nel porto di Napoli ! Si trattava del sottomarino americano Scorpion, che era stato coinvolto il 15 aprile di quel fatidico anno in una tempesta, andando ad urtare la poppa contro una chiatta, che affondò. Fu ispezionato  nello stesso porto. Esplose poche settimane dopo - il 22 maggio 1968 - nell'Atlantico al largo delle Azzorre, inabissandosi con il propulsore nucleare, due bombe atomiche e 99 uomini di equipaggio. Solo un mese prima lo stesso sottomarino era transitato per il porto di Taranto...

Le poche fonti disponibili, visto l’assordante silenzio che avvolge da sempre questi gravissimi eventi, riportano che qualcosa di simile si verificò nel mar Jonio sette anni dopo:

“La notte del 22 settembre 1975, nello Jonio meridionale, la portaerei americana Kennedy si scontrò con l'incrociatore (sempre americano) Belknap. Scoppiò un incendio che giunse a pochi metri dalle testate nucleari dei missili Terrier e partì uno dei più alti livelli di SOS nucleare, denominato "broken arrow". Ha commentato l'esperto di questioni militari William Arkin: "Se le fiamme avessero raggiunto i missili le possibilità sarebbero state due: o le testate atomiche sarebbero esplose con effetti facilmente immaginabili, oppure la nave sarebbe affondata a poche miglia dalle coste di Augusta, zona frequentata dai pescherecci italiani, con conseguenze ambientali molto gravi".  [...] Dell'SOS nucleare non si è saputo nulla fino al 1989 quando l'ammiraglio Eugene Carrol diffuse quelle che il Corriere del Giorno ha definito "agghiaccianti rivelazioni": "Una catastrofe nucleare nello Ionio

l'abbiamo sfiorata quattordici anni fa" (prima pagina del 26 maggio 1989)...” [17]

Uno degli altri casi di cui si abbia notizia risale al luglio del 2000, quando un sottomarino a propulsione nucleare della US Navy subì un’avaria nel porto di La Spezia. L’episodio fu subito coperto dal silenzio stampa, ad eccezione del quotidiano “Il Secolo XIX”.

Nel 2003 la Prefettura di Latina, Protezione Civile, ha diffuso, a richiesta, estratti del
"Piano di emergenza esterna relativo alla sosta di unità navali militari a propulsione nucleare nella rada di Gaeta. (Revisione 2001)." Questa città, infatti, è stata per decenni base operativa della 6^ Flotta della US Navy e nella sua rada attraccavano anche i sottomarini nucleari, ragion per cui le preoccupazioni dei cittadini e delle associazioni risultavano più che fondate. Secondo il documento (o meglio, le parti che ne sono state diffuse) le misure di  sicurezza previste sarebbero in grado di "assicurare la protezione delle popolazioni". Non era invece dello stesso avviso Antonino Drago, docente di storia della fisica all’università di Napoli, che sottolineava la scarsa plausibilità scientifica del Piano.


“Di fatto, il rapporto si ritaglia una ipotesi tecnologica di tutto di comodo: la fusione del nocciolo del reattore nucleare, senza che ci sia fuoriuscita di sostanze  radioattive, se non per la incontinenza parziale della terza protezione (oltre quelle  del rivestimento delle barre di combustibile e del pentolone o vessel), in questo  caso lo scafo intero del sommergibile nucleare: il rivestimento esterno può avere qualche crepa e allora un po' di gas potrebbe sfuggire all'esterno. Ma questo può avvenire solo in una primissima fase della fusione del nocciolo e non rappresenta affatto lo "incidente massimo ipotizzabile", casomai quello quasi minimo. [...] Come gli altri piani per le centrali civili, questi piani di emergenza doveva no essere revisionati dopo Cernobyl. Ma si è aspettato a lungo. Alla fine del 2001 il gioco di parole ("ipotesi credibile") è stato ripetuto senza modifiche. D'altronde le autorità non avevano vie d'uscita: o rifiutare questi reattori nucleari su tutto il territorio nazionale dicendo "No" anche agli USA, o subire le conseguenze di  un eventuale incidente con uno straccio di piano di emergenza scritto per nascondere la realtà».[18]

Indipendentemente dalla validità scientifica delle ipotesi d’incidente prospettabili in uno dei porti italiani che ospitano natanti a propulsione nucleare, il vero problema è quello della totale assenza di trasparenza in materia, che fa a pugni con l’esigenza di garantire alle popolazioni locali una corretta informazione sui rischi che corre e su come le autorità a ciò preposte pensano di fronteggiarli.  Eppure su questo il citato decreto legislativo 230/95 è molto esplicito, visto che agli articoli 129 e 130 parla di “obbligo di informazione” nei confronti della popolazione, che avrebbe il diritto di essere informata senza neanche farne richiesta, visto che di dovrebbe trattare di “informazioni...accessibili al pubblico, sia in condizioni normali, sia in fase di preallarme o di emergenza radiologica”.

1. La popolazione che rischia di essere interessata dall'emergenza radiologica viene informata e regolarmente aggiornata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul comportamento da adottare in caso di emergenza radiologica. 2. L'informazione comprende almeno i seguenti elementi: a) natura e caratteristiche della radioattività e suoi effetti sulle persone e sull'ambiente; b) casi di emergenza radiologica presi in considerazione e relative conseguenze per la popolazione e l'ambiente; c) comportamento da adottare in tali eventualità; d) autorità ed enti responsabili degli interventi e misure urgenti previste per informare, avvertire, proteggere e soccorrere la popolazione in caso di emergenza radiologica. 3. Informazioni dettagliate sono rivolte a particolari gruppi di popolazione in relazione alla loro attività, funzione e responsabilità nei riguardi della collettività nonché al ruolo che eventualmente debbano assumere in caso di emergenza.” [19]

L’ultimo caso denunciato anche da VAS, è stato quello dello scontro di due sommergibili nell’Atlantico, avvenuto nel febbraio 2009, che ha riproposto il problema della sicurezza delle popolazioni residenti nelle città sedi di porti in cui è consentito l’accesso di natanti nucleari.

Appare dunque più che legittimo chiedersi che cosa succederebbe in un territorio densamente abitato come l’area metropolitana di Napoli se dovesse succedere qualcosa di simile. Cosa accadrebbe in caso d’incidente nucleare se lo è chiesto anche Angelica Romano, che si è soffermata sulle conseguenze per la popolazione napoletana:

“Napoli è una metropoli di oltre 3 milioni di persone, con una densità di 8.567,79 abitanti per kmq, altissima rispetto ad altre città. Come si potrebbe salvare da un pericolo nucleare? [...] Per i reattori a basati sul plutonio...vi può essere una dispersione nell’ambiente di questo elemento, caratterizzato da  potere cancerogeno e persistenza nell’organismo molto elevati. Naturalmente le conseguenze sull’ecosistema marino e su tutta la catena ecologico- alimentare a esso legata sono incalcolabili.”[20]

Ma allora che cosa possiamo fare per garantire ai cittadini la conoscenza preventiva del rischio che corrono e dei provvedimenti che si pensa di adottare in caso di emergenza nucleare?

E, soprattutto, è questo il vero problema o bisogna, in modo più radicale, impedire l’accesso di ogni imbarcazione a propulsione nucleare nei porti italiani, come peraltro già avviene in paesi come il Giappone, la Nuova Zelanda e perfino nelle principali città costiere degli Stati Uniti d’America?

 

 

3. Emergenza NUCLEARE nei porti: un “piano” che va piano

 

Dalla normativa vigente in Italia dal 1995, con successive modificazioni ed aggiornamenti, scaturisce per le amministrazioni locali il preciso obbligo di provvedere ad una “informazione preventiva”. Da chi altri, del resto, i cittadini avrebbero dovuto avere notizia del rischio di una potenziale “emergenza radiologica” e delle misure predisposte per fronteggiarla? Eppure finora ben poco è trapelato di ciò che tutti pur avrebbero diritto di conoscere, stando alla legge italiana. Per molti anni gruppi e comitati aderenti all’associazione Peacelink si erano battuti perché fosse osservata questa prescrizione, ma solo dieci anni fa essa, finalmente, riuscì nel proprio intento di controinformazione.

“ La lunga lotta di PeaceLink per conoscere i piani di emergenza cominciò a febbraio dell'anno 2000 [...] A settembre del 2000 la Prefettura di Taranto - dopo l'affondamento di un sottomarino nucleare russo, dopo l'intimazione di PeaceLink ai sensi di legge e alla vigilia di un incandescente consiglio comunale monotematico sul rischio nucleare - ci dette importanti informazioni ufficiali da cui emergeva che la citta' sarebbe stata evacuata in caso di grave incidente nucleare e di forte dispersione di radioattivita'. Fu una crepa aperta nel muro del silenzio. Poco dopo il prefetto di Taranto fu trasferito''. [21]

Estratti del Piano di emergenza nucleare per il porto di Taranto, pertanto, sono consultabili sul sito di Peacelink. In particolare, nella premessa di quel documento troviamo scritto che:

“ Scopo del presente piano è quello di salvaguardare, mediante l'adozione di idonee misure di sicurezza, l'incolumità delle popolazioni interessate dai pericoli delle radiazioni derivanti da eventuali incidenti ad unità  militari a propulsione nucleare.  [22]

 

Il secondo caso di “disvelamento”, sia pur parziale, dei Piani di emergenza predisposti per i porti soggetti a transito e sosta di natanti nucleari è stato quello, già citato, di Gaeta. Anche allora, però, il documento era stato ottenuto grazie alla mobilitazione dal basso. In entrambi i casi, dunque, non si capisce come si pensasse di salvaguardare l’incolumità degli abitanti tacendo sulle possibili emergenze e sulla condotta da seguire in caso d’incidente nucleare.

Nel documento reso noto dalla Prefettura di Taranto si afferma, fra l’altro, che il piano “verrà posto in atto automaticamente, a cura delle Autorità/Enti” a ciò preposti. Ma di quale  incredibile “automatismo” si parla? La verità è che le autorità in questione sanno benissimo che non è possibile allertare un’intera popolazione civile senza averle fornito per tempo uno straccio di quella “informazione preventiva” cui ha pieno diritto.

Però, si ribatte, c’è il problema della segretezza da rispettare, quando si tratta di questioni che hanno una valenza militare... Ebbene, è un pretesto del tutto inaccettabile, visto che in altri paesi, europei e non, questi piani sono già da anni di pubblico dominio. Ma noi italiani evidentemente siamo più realisti del re, come si usa dire. E allora chi ci governa continua ottusamente a trincerarsi dietro gli “omissis” ed a classificare dei piani di protezione civile come  “top secret” , alla faccia dei principi elementari di trasparenza democratica e vanificando ogni tentativo di organizzare efficienti misure di difesa civile.

Il terzo caso di rottura del muro di gomma che circonda tali “piani di emergenza esterna” predisposti per i porti italiani potrebbe essere ora quello di Napoli, visto che la Prefettura sembrerebbe essersi decisa ad accordare a VAS l’accesso al piano provinciale, sia pure con le prevedibili riserve e resistenze.

Sta di fatto che il P.E.E. per Napoli difficilmente sarà migliore di quello parzialmente pubblicizzato nel 2000 dalla Prefettura di Taranto, in seguito alla mobilitazione di Peacelink.

Le procedure d’emergenza del piano prevedono l’allontanamento dell’imbarcazione, su cui si è verificato l’incidente, entro un’ora, per evitare che le radiazioni investano le persone. Ma la ‘contaminazione del suolo’ (mare e fondali) resta comunque inevitabile. Per i cittadini è prevista l’evacuazione dell’area interessata e la loro sistemazione nelle scuole. Inoltre, il questore dovrebbe requisire, per l’assistenza sanitaria, gli alberghi e, per ‘esigenze di trasporto’, gli autobus. [...] in pochi minuti dovrebbe essere somministrato a migliaia di bambini e di donne in gravidanza un prodotto per difendere la tiroide dalla nube nucleare...Tale prodotto non è in dotazione a nessuna scuola e la protezione civile ne sarebbe di fatto priva in caso di emergenza. Un’esplosione del reattore nucleare comporterebbe inoltre la dispersione di plutonio , la cui radioattività si dimezza in 24 mila anni. E’ infine previsto che tutte le informazioni da diramare agli organi d’informazione siano filtrate dall’ufficio stampa della Prefettura.” [23]

Chiunque viva a Napoli e ne conosca le drammatiche problematiche quotidiane si rende perfettamente conto che un piano d’emergenza che, senza un’adeguata pubblicizzazione e preparazione preventiva dei diretti interessati, pretenda d’intervenire efficacemente in una situazione di grave allarme come quella ipotizzata sarebbe destinato a sicuro fallimento. Basta pensare al quotidiano caos dei trasporti ed alla consueta disorganizzazione e scarsa comunicazione reciproca delle varie amministrazioni pubbliche, infatti, per capire che un’emergenza improvvisa – peraltro sconosciuta nella sua natura e nelle sue caratteristiche agli stessi cittadini – avrebbe scarse possibilità di essere gestita adeguatamente e rischierebbe di trasformarsi in una tragedia nella tragedia.

Ma come stanno le cose fuori del nostro Paese?  Sicuramente meglio, anche se dove di queste cose si parla già da molti anni non sembra proprio che si siano trovate soluzioni che vadano oltre una più efficiente gestione dell’emergenza in una delle città che ospitino nei loro porti natanti a propulsione nucleare.              La risposta in termini di misure di protezione, infatti, resta affidata sostanzialmente alle autorità civili e militari, mentre le misure sanitarie ricordano una vecchia canzone napoletana: “Pìgliate ‘na pastiglia”...

 

 

4. Uno sguardo alla situazione  di alcuni  stati  esteri

 

SPAGNA > Proprio in questi giorni (21.12.2010)  l’organismo competente in materia di protezione civile della  Comunità Autonoma Valenciana ha approvato il Piano di Emergenza Esterna del Porto di Valencia” , in ottemperanza dell’art. 16 del Real Decreto 1259/1999, relativo al “controllo dei rischi inerenti agli incidenti gravi nei quali siano presenti sostanze pericolose” ed in base al decreto n. 19 del 3.11.2009 del Presidente di quella “Generalitat”.[24] Anche in Spagna si nota reticenza e lentezza burocratica nel passaggio dalla norma nazionale all’attuazione a livello locale, tenuto anche conto dell’autonomia accordata ad alcuni territori come, appunto, la regione valenciana o la Catalogna. [25]

 

FRANCIA >  Nel mese di novembre 2010 si sono svolte nella città di Toulon le esercitazioni nazionali di sicurezza civile. Il porto militare di Tolone è particolarmente ampio (250 ettari) ed ospita, infatti, sottomarini nucleari e la portaerei nucleare francese “Charles de Gaulle. Dal 2003 è stata istituita una commissione per l’informazione su questo sito militare, per “rispondere a tutte le domande relative all’impatto delle attività nucleari sulla salute e l’ambiente”. La commissione è “composta da rappresentanti dell’amministrazione civile dello Stato, da quelli degli interessi economici e sociali, delle associazioni riconosciute di protezione dell’ambiente e delle collettività locali”. Ad ogni cittadino, dunque, è possibile accedere alle informazioni contenute nel sito dedicato al “Piano Particolare d’Intervento (PPI Toulon)”, sfogliandone le pagine e trovando risposta alle più comuni domande in materia. [26]

REGNO UNITO > E’ stato regolarmente aggiornato, dal 2001 al 2010, il “Portland Port Off-Site Reactor Emergency Plan”, il cui testo, completo di allegati e planimetrie, è consultabile con estrema facilità sul sito dedicato [27], a cura del Consiglio della Contea del Dorset. Il documento è molto chiaro sui rischi ipotizzabili di contaminazione diretta o indiretta del territorio e della sua popolazione, nonché d’inquinamento radioattivo delle acque marine. Seguono le contromisure applicabili, tenuto conto che il raggio di rischio va da una zona rossa centrale (meno di 1 km) fino ad un anello esterno, compreso tra 1,5 e 10 km. da essa. Ad ogni ipotesi di rischio corrisponde un intervento, suddiviso in base a 3 livelli, da quello strategico (gold) al tattico (silver) ed all’operativo (bronze). Il piano è stato corredato da alcuni opuscoli divulgativi per i cittadini di Portland, uno dei quali (realizzato nel marzo 2010) affronta l’emergenza radiologica in caso d’incidente nucleare che si verificasse in quel porto. Le indicazioni e raccomandazioni - sintetizzate nel motto: “Go in – Stay in – Tune in” - a dire il vero non sembrano particolarmente tranquillizzanti. Ai cittadini si riserva un ruolo del tutto passivo, invitandoli a restare al chiuso e ad informarsi via radio, mentre la mobilitazione riguarda solo le organizzazioni a ciò preposte.

 

U.S.A. > La normativa statunitense in materia rimanda sostanzialmente all’azione svolta dall’ U.S. National Nuclear Security Administration (N.N.S.A.). Secondo questo Ente federale, “la sicurezza ambientale nel funzionamento delle navi a propulsione nucleare degli USA costituirebbe la chiave per la loro accettazione in patria e all’estero”. Grazie a questo rigoroso controllo della radioattività, sempre secondo la N.N.S.A., il programma avrebbe “registrato l’assenza di ogni effetto ambientale negativo derivante dalle operazioni delle navi da guerra statunitensi a propulsione nucleare”. Esse, per questo, sarebbero quindi “le benvenute in oltre 150 porti di più di 50 stati e dipendenze, così come nei porti degli Stati Uniti d’America” .[28]  Ovviamente queste trionfalistiche dichiarazioni suonano davvero poco credibili, viste le premesse. Per quanto riguarda i piani di emergenza nelle aree portuali interessate dal transito e/o dalla sosta delle “U.S. naval nuclear-powered ships” ,invece, non se ne hanno notizie. Quello che si sa è che il programma di monitoraggio svolto dal N.N.S.A. – in collaborazione con l’E.P.A., l’Ente federale di protezione ambientale - consiste nell’analizzare l’acqua, il sedimento, l’aria ed esemplari marini, allo scopo di verificare che non vi siano effetti negative per l’ambiente. Controlli, inoltre, sono previsti soprattutto per il personale militare e civile impegnato nei natanti nucleari americani, cui sono garantiti controlli sanitari in base alle normative nazionali sull’esposizione alle radiazioni. Il resto, nella visione dell’amministrazione degli USA, è solo questione di allerta contro ipotizzabili minacce terroristiche, la cui competenza è dei “servizi di sicurezza” ed è sottoposta a segreto militare.[29]

 

CANADA > La situazione del Canada è sottoposta alla normativa federale in materia, di cui si ha notizia visitando il sito del ministero canadese della Sanità, ed in particolare le pagine riguardanti il Federal Nuclear Emergency Plan. [30] In particolare, al punto 2.3.2 di questo documento, si affronta il caso di “un evento che coinvolga navi che visitino il Canada o che transitino lungo le acque canadesi” . Un serio incidente ad un natante a propulsione nucleare, infatti, viene considerato equivalente a quello che potrebbe coinvolgere un impianto nucleare civile, sia pure con effetti meno estesi. In questo piano di emergenza, la Difesa Nazionale del Canada fa riferimento ad una zona compresa tra 1 e 5 chilometri, ai fini di un’urgente azione protettiva nel territorio che circonda i porti interessati al passaggio di natanti nucleari. Ciò comporta immediate analisi di campioni di sostanze alimentari e di suolo, per procedere alle analisi necessarie ad assicurare la sicurezza della popolazione residente nelle vicinanze. Secondo la normativa canadese, i natanti nucleari possono visitare solo tre porti: uno della Nova Scotia e due della Columbia Britannica. In ogni caso, allo stato attuale nessun natante è autorizzato a trasportare quantità significative di sostanze radioattive attraverso i corsi d’acqua canadesi, sebbene non se ne escluda la possibilità in futuro.   

 

NUOVA ZELANDA >  La legislazione neo-zelandese ha previsto, con una legge apposita, la creazione di una “Nuclear Free Zone”, al fine di “promuovere ed incoraggiare un contributo effettivo da parte della Nuova Zelanda all’essenziale processo di disarmo ed al controllo internazionale degli armamenti” , per citare il preambolo della stessa Legge. Da essa deriva che l’ingresso di natanti nucleari nelle acque neozelandesi è sottoposto ad una rigida e restrittiva autorizzazione del governo (art. 9), mentre quello nelle acque interne del Paese è del tutto vietato (art. 11). [31]

 

5. CHE COSA POSSIAMO FARE ?

 

Un efficace slogan che circolava un po’ di tempo fa tra gli antinuclearisti era: “Meglio attivi che radioattivi!”. Ecco: dovremmo tornare a questo semplice concetto di naturale e spontanea autodifesa, che nasce però dalla consapevolezza che ognuno di noi ha da giocare una parte anche in questioni che sembrerebbero troppo grandi e complicate per svolgere un ruolo effettivo.

Di fronte alla degenerazione verticista ed autoritaria di uno stato in cui la democrazia è ridotta al solo esercizio del diritto di voto - fra l’altro in base a sistemi elettorali a dir poco discutibili -  lasciando per anni chi ci governa o amministra completamente libero di fare qualsiasi scelta sulla nostra testa, dobbiamo riprenderci quel pezzo di potere che spetta a tutti, cominciando da quello di protestare.

“Protestare per sopravvivere” (Protest and Survive), era il titolo di un libro di Edward P. Thompson, che circolava negli anni ’80. [32]. E’ proprio questa la prima cosa da fare, se vogliamo cambiare le cose senza aspettare che siano gli altri a risolverci i problemi.  Il più grande teorico italiano della nonviolenza, Aldo Capitini, ha sottolineato la centralità per un’alternativa politica della diffusione di un “potere di tutti” (omnicrazia), che fa di ogni cittadino un soggetto attivo e responsabile, attuando quel principio fondamentale di autogestione che Gandhi chiamava “swaraj”.

Il principio fondamentale, contraddetto purtroppo dall’esperienza trentennale del nostro Paese, è quello che la “protezione civile” diventi sempre più una “difesa civile”: decentralizzata, autogestita dalle comunità locali e capace di organizzare e mobilitare i soggetti direttamente interessati alle possibili emergenze, siano esse sismiche, vulcaniche, meteorologiche, ambientali o nucleari. Già dagli anni ’80, subito dopo il terremoto in Campania, il movimento pacifista si era organizzato per ottenere una legge, che istituiva una “protezione civile popolare”, coinvolgendo i giovani campani in un servizio civile alternativo a quello militare.[33]  L’assurdo fu che quella proposta, avanzata dalla società civile e caldeggiata da alcune forze politiche, fu resa legge dal Parlamento, ma venne subito dopo vanificata. Pur di non attuarne le previsioni, infatti, il governo varò un provvedimento che esonerava dalla prestazione della naja – e quindi anche del servizio civile sostitutivo – tutti i giovani delle aree colpite dal sisma... Quello che è successo dopo, con l’organizzazione sempre più centralizzata del servizio di protezione civile nazionale, è purtroppo evidente. Questo “corpo” è stato impiegato in “emergenze” reali e fittizie – come quella dei rifiuti in Campania, dopo ben 15 anni di commissariamento degli enti locali... – espropriando i cittadini ed abituandoli all’idea che la protezione civile sia materia d’impiego anche per le forze armate, militarizzando in tal modo anche una fondamentale risorsa di autogestione del territorio e di difesa civile.

Ebbene, contro il pericolo nucleare – si tratti di centrali elettriche, di natanti a propulsione nucleare oppure di armi atomiche – i cittadini singoli, come le intere comunità locali interessate – hanno il diritto ed il dovere di mobilitarsi per denunciare i rischi cui sono sottoposti e per opporsi a queste scelte perniciose.

Il primo passo, ovviamente, è ottenere il rispetto di quel diritto all’informazione che, almeno sulla carta, dovrebbe essere garantito anche in queste materie. Il secondo passo è quello di leggersi con attenzione i documenti che sono stati ottenuti dalle autorità competenti, condividendone il testo con tutti gli interessati e soprattutto cercando di andare oltre il burocratese ed il gergo scientifico che solitamente avvolge questo genere di messaggi, proprio per impedirne la comprensione ai “non addetti ai lavori”.

Il terzo step di questo percorso – nel quale sarebbe opportuno coinvolgere persone qualificate ed accedere ad una documentazione alternativa - è demistificare asserzioni date per indiscutibili, in base alle quali si costruiscono le teorie e normative con le quali sono giustificate certe scelte.

Solo allora è possibile costruire un movimento di opposizione che sappia mobilitare sempre più persone, una volta che la controinformazione è circolata e che a tutti sono chiare le possibili alternative.

“ La presenza militare nel territorio campano non è inevitabile. Gli esempi d’ iniziative di vario tipo in altre città italiane  e in altri paesi del mondo...dimostrano la possibilità di condizionare quella presenza, riuscendo, nei casi più fortunati, a far sloggiare l’inquilino militare.[...] Non esistono dunque più alibi che impediscano ai napoletani di essere informati in merito al dettaglio di tali piani. A causa delle continue inadempienze sul tema nucleare... la Commissione Europea ha recentemente deferito l’Italia alla Corte di Giustizia... in quanto non ritiene che il paese abbia applicato efficacemente le norme Euratom in merito alla protezione della popolazione in caso di emergenza radiologica.”  [34]

Nel suo “decalogo per i porti a rischio nucleare”, Alessandro Marescotti  ha opportunamente elencato alcune forme di mobilitazione diretta dei cittadini, che converrebbe adottare in questi casi:

“1) Digiuno cittadino... preparato in precedenza in modo da avere una durata adeguata alla "visita" dell'unità navale nucleare;
2) Comunicati stampa locali: presentazione delle ragioni del digiuno e richiesta di conoscenza del piano di emergenza nucleare; se esso fosse stato diffuso, diffusione della conoscenza del piano con comunicati stampa che evidenzino i rischi e le incongruenze.
3) ...Rrichiesta alle autorità - Prefetto e Sindaco - di esercitazioni cittadine di evacuazione della città (ogni piano prevede l'evacuazione).
4) Diniego per ragioni di sicurezza, [...]di attracco ....a unità navali con propulsione nucleare facendo esplicito riferimento alla non conoscenza o all'inadeguatezza del piano di emergenza e alla non effettuazione in precedenza di prove di evacuazione.
5) Trasparenza nucleare: richiesta alle autorità - ai fini della tutela della sicurezza della popolazione - di conoscere se siano presenti a bordo armi nucleari.....
6) Comunicati stampa nazionali....                                                                                                                                        7) Richiesta e studio del piano di emergenza... in virtù del Decreto Legislativo 230/95...
8) Centro di documentazione: accedere agli archivi di www.peacelink.it sezione disarmo per prelevare l'elenco dei porti a rischio nucleare e delle unità navali che comportano questo rischio, inserirvi i piani di emergenza, sviluppare un dossier per ogni porto a rischio nucleare...
9) Conferenza stampa e archivio giornalisti: costruire una propria banca dati dei giornalisti più sensibili da contattare....
10) Costruire eventi nonviolenti che abbiano un impatto visivo e documentarli con le macchine fotografiche digitali; realizzare cartelloni colorati in giallo con il simbolo nero della radioattività e fotografarsi di fronte alle basi navali...”
[35]

Questi  suggerimenti sono sicuramente molto utili. Noi di VAS e le altre realtà che si stanno coordinando nel Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio, siamo intenzionati ad organizzarci sempre meglio, per rendere effettiva la lotta dal basso contro la piovra del militarismo e del nuclearismo ed in difesa della salute e della vera sicurezza del cittadini di Napoli e della Campania.

 

 

 

 

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

[1]“Pericolo nucleare a Nisida – Sottomarini nucleari nelle acque dell’isola “ – ROMA/Giornale di Napoli, 20.05.’96 e “Sottomarini a Nisida” – ROMA/Giornale di Napoli, 22.05.’96

2 Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Antonino_Drago_%28pacifista%29  e http://wapedia.mobi/it/Antonino_Drago_%28pacifista%29  

3 Antonino Drago, Difesa popolare nonviolenta, Torino, E.G.A., 2006. Vedi anche: Ermete Ferraro, "La resistenza napoletana e le Quattro Giornate: un caso storico di difesa civile e popolare", in: AA.VV., Una strategia di pace: la difesa civile nonviolenta (pp.89-95), Bologna: FuoriTHEMA, 1993

4  “I VAS: rischio nucleare. Via la portaerei ‘Enterprise’ !”, IL MATTINO, 06.06.’01 ; “Rischio nucleare nel porto di Napoli” , La Verità, 06.06.’01; “Emergenza nucleare nel golfo. L’Enterprise adesso fa paura”, CRONACHE DI NAPOLI, 06.06.’01; “Via le portaerei nucleari” , ROMA/Giornale di Napoli, 28.06.’01

5 “Rischio nucleare: la portaerei lascia oggi il golfo di Napoli. Gli ambientalisti contro l’Enterprise “, ROMA/Giornale di Napoli, 12.02.’04;  “I VAS chiedono che venga allontanata la portaerei ‘Truman’ dal porto di Napoli” , ROMA/Giornale di Napoli, 06.07.’04 .

6 Ermete Ferraro, “Quale ecopacifismo? Ecologia, conservazionismo, ecologismo e ambientalismo” in: “Biodiversità a Napoli”, supplemento a “Verde Ambiente”), Roma, E.V.A. (XX, 2, marzo-aprile 2004pp. 21-27)

7 Visita: http://www.paxchristinapoli.it 

8 Visita: http://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_2073.html . Nel 2008 il Comitato pace Disarmo e Smilitarizzazione della Campania ha pubblicato un testo fondamentale su queste tematiche: Napoli chiama Vicenza – Disarmare i territori, costruire la pace (a cura di Angelica Romano), quaderno Satyagraha n. 14,  Pisa, Gandhi Edizioni - 2008 (http://www.peacelink.it/libri/index.php?id=12)

9Ermete Ferraro,  Il signornò degli ecopacifisti,  vasonline.it  (marzo 2007) ; idem, "Una scomoda verità", www.vasonline.it (ago.2007); idem, "Una mobilitazione ecopacifista per togliere le basi alla guerra", su: http://napoli.indymedia.org (marzo 2009)

10 Ermete Ferraro, "La protesta dei VAS Napoli: porto, via le navi nucleari", Il Napoli (26 nov. 2007); Idem, "AFRICOM: un altro migliaio di militari USA...",  www.proletaria.it (dic. 2008); Idem,"No Africom!" commento postato da E.F , www.napoli.indymedia.com (dic. 2008); Idem, "AFRICOM: la posizione dei VAS" www.retecivicanapoli.org (mar. 2008); Idem e A. D’Acunto,Oscuro scontro di 2 sommergibili nucleari, francese ed inglese, nell'Atlantico: un drammatico allarme per Napoli ed il suo Golfo” , http://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_2449.html  (feb. 2009) ; Idem,  “Porti nuclearizzati? No grazie!”, http://napoli.indymedia.org:8383/node/7447 (feb. 2009); mag. 2010  > "Base US Navy di Napoli: chiuderà?" , www.vasonlus.it (mag. 2009).

11 Visita: http://www.laciviltadelsole.org e http://www.facebook.com/?ref=home#!/group.php?gid=62693432041 – Su nucleare e pace visita anche il sito web di Antonio D’Acunto (http://www.terraacquaariafuoco,it ).

12 Ermete Ferraro, “Sicurezza nucleare nel porto di Napoli”, http://napoli.indymedia.org/node/14391 (7 dic.2010)

13 http://www.salute.gov.it/ipocm/resources/documenti/D_lgs_230-95.pdf

14 Alessandro Marescotti, Decalogo per i porti a rischio nucleare, 5.5.2004, www.peacelink.it/tools/author.php?u=6

15 ibidem

16 http://www.progettohumus.it/nucleare.php?name=porti

17 “Il rischio nucleare nei porti italiani...” cit. – Visita: http://www.peacelink.it/tematiche/disarmo/porti.shtml

18  Rita Bittarelli > Gaeta. Piano di emergenza nucleare. Antonino Drago: «Documento senza alcuna validità scientifica, pieno di "credenze" e di strafalcioni» (9 Agosto 2003) >  http://www.peacelink.it/disarmo/docs/80.pdf

 

19. Lgs. 230/95 cit. – art. 130

20Angelica Romano, “Rischio nucleare”, in: Napoli chiama Vicenza, cit., p. 29

21 Fonte: ANSA 2005-06-10  http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/11592.html

22 Vedi: http://www.peacelink.it/disarmo/docs/80.pdf  (in particolare pp. 14-17)

22 Vittorio Moccia, “Che si può fare?”, in: “Napoli chiama Vicenza” cit. , pp.120-121

23 Fonte: http://www.iustel.com/v2/diario_del_derecho/noticia.asp?ref_iustel=1046576

24 Consulta : http://www.bcn.es/bombers/es/quisom_funcions.html

 

25 Visita: http://www.ppitoulon.net/index.html

26 Visita: http://www.dorsetforyou.com/media.jsp?mediaid=146764&filetype=pdf

 

27 Visita: http://nnsa.energy.gov/ourmission/poweringnavy#hq

28 Jonathan Medalia, Terrorist Nuclear Attacks on Seaports: Threat and Response, CRS reports for Congress, Jan. 2005, vedi: http://www.fas.org/irp/crs/RS21293.pdf

29 Vedi: http://www.hc-sc.gc.ca/hc-ps/pubs/ed-ud/fnep-pfun-1/plan-planification-eng.php#waters

30 Vedi il saggio di Andreas Reitzig, New Zealand’s Ban on Nuclear Propelled Ships Revisited , Auckland University, 2005 - http://www.kuratrading.com/PDF/NuclearBan.pdf

31Edward P. Thompson, Protestare per sopravvivere, Napoli, Pironti, 1982

32Vedi: Ermete Ferraro e Luigi Bucci, "Servizio civile e protezione popolare" , in: Il Tetto, XVIII, N. 103 - gen.-feb. 1981 (pp. 39-48), Napoli

33 Vittorio Moccia, “Che si può fare?”, cit., p. 119-123

34 A. Marescotti, Decalogo per i porti a rischio nucleare > http://www.peacelink/tools/author.php?u=6

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(*) Ermete Ferraro (Napoli 1952) insegna materie letterarie nella scuola media ed è animatore socio-educativo e amministratore sociale. Tra i primi obiettori di coscienza napoletani, fin dagli anni ’70 è un attivista antimilitarista, nonviolento ed ecopacifista. Fondatore e responsabile dei Verdi napoletani, che ha rappresentato anche nelle istituzioni locali (dal 1987 al 1997 alla Circoscrizione Vomero e dal 1990 al 1995 alla Provincia di Napoli), dalla metà degli anni ’90 è attivamente impegnato con l’associazione di protezione ambientale VAS onlus. Di essa è membro del Coordinamento della Campania, consigliere nazionale e referente nazionale per l’ecopacifismo.       (Web: www.ermeteferraro.it  - email: ermeteferraro@alice.it )

 



[1] Pericolo nucleare a Nisida – Sottomarini nucleari nelle acque dell’isola “ – ROMA/Giornale di Napoli, 20.05.’96 e “Sottomarini a Nisida” (com. stampa di H. Ferraro) – ROMA/Giornale di Napoli, 22.05.’96

[3] Antonino Drago, Difesa popolare nonviolenta, Torino, E.G.A., 2006. Vedi anche: Ermete Ferraro, "La resistenza napoletana e le Quattro Giornate: un caso storico di difesa civile e popolare", in: AA.VV., Una strategia di pace: la difesa civile nonviolenta (pp.89-95), Bologna: FuoriTHEMA, 1993

[4]  “I VAS: rischio nucleare. Via la portaerei ‘Enterprise’ !”, IL MATTINO, 06.06.’01 ; “Rischio nucleare nel porto di Napoli” , La Verità, 06.06.’01; “Emergenza nucleare nel golfo. L’Enterprise adesso fa paura”, CRONACHE DI NAPOLI, 06.06.’01; “Via le portaerei nucleari” , ROMA/Giornale di Napoli, 28.06.’01

[5] “Rischio nucleare: la portaerei lascia oggi il golfo di Napoli. Gli ambientalisti contro l’Enterprise “, ROMA/Giornale di Napoli, 12.02.’04;  “I VAS chiedono che venga allontanata la portaerei ‘Truman’ dal porto di Napoli” , ROMA/Giornale di Napoli, 06.07.’04 .

[6] Ermete Ferraro, “Quale ecopacifismo? Ecologia, conservazionismo, ecologismo e ambientalismo” in: “Biodiversità a Napoli”, supplemento a “Verde Ambiente”), Roma, E.V.A. (XX, 2, marzo-aprile 2004pp. 21-27)

[8] Visita: http://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_2073.html . Nel 2008 il Comitato pace Disarmo e Smilitarizzazione della Campania ha pubblicato un testo fondamentale su queste tematiche: Napoli chiama Vicenza – Disarmare i territori, costruire la pace (a cura di Angelica Romano), quaderno Satyagraha n. 14,  Pisa, Gandhi Edizioni - 2008 (http://www.peacelink.it/libri/index.php?id=12)

[9] Ermete Ferraro,  Il signornò degli ecopacifisti,  vasonline.it  (marzo 2007) ; idem, "Una scomoda verità", www.vasonline.it (ago.2007); idem, "Una mobilitazione ecopacifista per togliere le basi alla guerra", su: http://napoli.indymedia.org (marzo 2009)

[10] Ermete Ferraro, "La protesta dei VAS Napoli: porto, via le navi nucleari", Il Napoli (26 nov. 2007); Idem, "AFRICOM: un altro migliaio di militari USA...",  www.proletaria.it (dic. 2008); Idem,"No Africom!" commento postato da E.F , www.napoli.indymedia.com (dic. 2008); Idem, "AFRICOM: la posizione dei VAS" www.retecivicanapoli.org (mar. 2008); Idem e A. D’Acunto,Oscuro scontro di 2 sommergibili nucleari, francese ed inglese, nell'Atlantico: un drammatico allarme per Napoli ed il suo Golfo” , http://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_2449.html  (feb. 2009) ; Idem,  “Porti nuclearizzati? No grazie!”, http://napoli.indymedia.org:8383/node/7447 (feb. 2009); mag. 2010  > "Base US Navy di Napoli: chiuderà?" , www.vasonlus.it (mag. 2009).

[11] Visita: http://www.laciviltadelsole.org e http://www.facebook.com/?ref=home#!/group.php?gid=62693432041 – Su nucleare e pace visita anche il sito web di Antonio D’Acunto (http://www.terraacquaariafuoco,it ).

[12] Ermete Ferraro, “Sicurezza nucleare nel porto di Napoli”, http://napoli.indymedia.org/node/14391 (7 dic.2010)

[14] Alessandro Marescotti, Decalogo per i porti a rischio nucleare, 5.5.2004, www.peacelink.it/tools/author.php?u=6

[15] ibidem

[17] “Il rischio nucleare nei porti italiani...” cit.Visita: http://www.peacelink.it/tematiche/disarmo/porti.shtml

[18]  9 Agosto 2003 > Rita Bittarelli > Gaeta. Piano di emergenza nucleare. Antonino Drago: «Documento senza alcuna validità scientifica, pieno di "credenze" e di strafalcioni» http://www.peacelink.it/disarmo/docs/80.pdf

 

[19] D. Lgs. 230/95 cit. – art. 130

[20] Angelica Romano,Rischio nucleare”, in: Napoli chiama Vicenza, cit., p. 29

[22] Vedi: http://www.peacelink.it/disarmo/docs/80.pdf  (in particolare pp. 14-17)

[23] Vittorio Moccia, “Che si può fare?”, in: “Napoli chiama Vicenza” cit. , pp.120-121

[29] Jonathan Medalia, Terrorist Nuclear Attacks on Seaports: Threat and Response, CRS reports for Congress, Jan. 2005, vedi: http://www.fas.org/irp/crs/RS21293.pdf

[31] Vedi il saggio di Andreas Reitzig, New Zealand’s Ban on Nuclear Propelled Ships Revisited , Auckland University, 2005 - http://www.kuratrading.com/PDF/NuclearBan.pdf

[32] Edward P. Thompson, Protestare per sopravvivere, Napoli, Pironti, 1982

[33] Vedi: Ermete Ferraro e Luigi Bucci, "Servizio civile e protezione popolare" , in: Il Tetto, XVIII, N. 103 - gen.-feb. 1981 (pp. 39-48), Napoli

[34] Vittorio Moccia, “Che si può fare?”, cit., p. 119-123

[35] A. Marescotti, Decalogo per i porti a rischio nucleare > http://www.peacelink/tools/author.php?u=6

(*) Ermete Ferraro (Napoli 1952) insegna materie letterarie nella scuola media ed è animatore socio-educativo e amministratore sociale. Tra i primi obiettori di coscienza napoletani, fin dagli anni ’70 è un attivista antimilitarista, nonviolento ed ecopacifista. Fondatore e responsabile dei Verdi napoletani, che ha rappresentato anche nelle istituzioni locali (dal 1987 al 1997 alla Circoscrizione Vomero e dal 1990 al 1995 alla Provincia di Napoli), dalla metà degli anni ’90 è attivamente impegnato con l’associazione di protezione ambientale VAS onlus. Di essa è membro del Coordinamento della Campania, consigliere nazionale e referente nazionale per l’ecopacifismo.                                                                                                                                (Web: www.ermeteferraro.it  - email: ermeteferraro@alice.it )